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L’almea, udendosi chiamare per nome da quello sconosciuto trasalì e fissò i suoi grandi e neri occhi su di lui con sorpresa e diffidenza. Pareva che le balenasse un sospetto, nondimeno lo seguì con passo abbastanza fermo.
El-Mactud la condusse nell’angolo più remoto della zeribak, ma stette parecchi minuti senza aprir bocca. Era imbarazzatissimo e non sapeva in qual modo cominciare. Comprendeva che una parola sospetta, forse un semplice cenno, poteva tradirlo ed allarmare l’almea.
— Fathma, disse finalmente, facendosi animo. Non sei tu la favorita del Mahdi?
L’almea tremò dal capo alle piante e si guardò d’attorno con viva ansietà.
— Imprudente, diss’ella con un filo di voce.
— Perdono, mi dimenticavo che...
— Zitto, non nominarmi più. Dimmi come tu sai ciò, chi sei e chi ti mandò da me.
— Mi chiamo Dullak e sono amico di un uomo che si chiama...
— Chi?... Chi?...
— Abd-el-Kerim, le soffiò all’orecchio lo sceicco.
Fathma si portò una mano alle labbra per soffocare un grido che stava per uscirle. Indietreggiò, poi si slanciò verso lo sceicco e stringendogli le braccia in modo da stritolargli quasi le ossa, gli disse con voce soffocata:
— Ripetimi quel nome, ripetilo! Ho paura di aver compreso male.
— Sono l’amico di Abd-el-Kerim, rispose lo sceicco senza esitare.
— È impossibile, io sogno!
— No, sei sveglia, Fathma.
— Non m’inganni tu?
— No, ti dico la verità. Non aver paura, povera donna.
Un profondo sospiro uscì dalle labbra dell’almea, un sospiro che pareva un grido di gioia soffocato.
— Dov’è, dov’è Abd-el-Kerim? chiese ella. Io vo-