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— L’ignoro. Ho avuto paura e sono fuggito

— La faccenda è seria, e grave.

— Lo so bene. Che facciamo? Fra pochi minuti lo scièk sarà qui, ne sono sicuro. Egli avrà tormentato il greco per fargli confessare dove ha nascosto Abd-el-Kerim.

— Certamente.

— Se si resistesse colle armi?

— Sarebbe una pazzia. Basta che Abù alzi la voce perchè tutta la guarnigione di El-Obeid accorra a prestargli man forte. Una sua parola sarà sufficiente perchè io lasci la testa in mano al carnefice.

— E dunque? Bisogna prendere una seria decisione.

El-Mactud non rispose. Immobile, curvo, colla fronte stretta fra le mani, pareva annichilito dallo sforzo eccessivo del pensiero. Ad un tratto si raddrizzò. Nei suoi sguardi lampeggiava allora l’imperturbabile audacia di un generale che si risolve ad un cambiamento di fronte sotto la grandine del fuoco nemico.

— Partiamo, diss’egli risolutamente.

— Dove si va?

— Intanto andremo al baobab a nascondervi Abd-el-Kerim, dopo ci recheremo alla zeribak a rapire la donna. Al greco penseremo più tardi, poichè ora è assolutamente impossibile il salvarlo. Andiamo!

Essi passarono nella stanza attigua. Colà, disteso su di un angareb, stava Abd-el-Kerim, ancora in preda al potente narcotico fattogli bere da Notis. Quattro guerrieri armati fino ai denti vegliavano presso di lui.

Ad un cenno di El-Mactud essi alzarono l’angareb con suvvi l’arabo ed uscirono silenziosamente dalla capanna. Medinek si mise dinanzi colla scimitarra sguainata e lo sceicco di dietro col remington sotto il braccio.

All’oriente cominciava ad apparire, fra le tempestose nubi, un po’ di chiaro.

La pioggia andava a poco a poco decrescendo, ma