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in sua mano, e perderlo proprio nel momento in cui credeva di avere in mano anche Fathma, era per lui un terribilissimo colpo. Si vedeva completamente rovinato, vedeva sfasciarsi il progetto, con tanta arditezza e con tanta pazienza condotto quasi a termine. Nondimeno, vedendo che non vi era più scampo di sorta, che non era più possibile giuocare d’astuzia, e smanioso di sapere qualche cosa sulla sorte di sua sorella Elenka, che infine tanto e tanto amava, prese l’eroica risoluzione — se così può dirsi — di confessare ogni cosa, riservandosi a tempi più propizi di riparare al mal fatto e di vendicarsi.
— Uditemi, diss’egli, facendo uno sforzo supremo. Abd-el-Kerim, da parecchi giorni si trova in mia mano. Lo tradii e Ahmed pagò il tradimento cedendomelo. Ieri sera, sospettando qualche cosa d’insolito, lasciai il campo e lo feci trasportare in una capanna che trovasi all’estremità meridionale del Mercato. Quattro uomini lo guardano e non ve lo cederanno che dopo essersi fatti uccidere.... e ora parlatemi di Elenka che più nulla ho da dirvi su Abd-El-Kerim.
— Posso prestar fede alle vostre parole, disse Omar, che fremeva di gioia e d’impazienza.
— A che pro ingannarvi? Non sono in vostra mano?
— Avete ragione. Voi volete sapere che accadde a Elenka, adunque. Mi dispiace sinceramente, ma devo darvi una brutta notizia.
Il greco si levò sulle ginocchia; una viva ansietà era dipinta sul suo volto. Egli guardò Omar con occhi supplichevoli e portò le mani al cuore che battevagli forte forte. Un terribile dubbio gli balenò in mente.
— Oh! Dio... balbettò.
— Devo parlare?
— Sì... lo voglio.
Omar esitò. Pareva che fosse commosso, e chissà, forse lo era veramente.
— Ma parla, ma parla, ripetè con impeto quasi feroce Notis.