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— Di’ su, lo conosci? ripetè lo scièk.

— Ma sicuro, balbettò il negro. Non mi inganno no, è lui, proprio lui, il birbante, il rapitore, l’assassino... eh! mio caro non mi fuggirai più, te lo dico io. Perdio! Quale incontro! Non me lo aspettavo così presto!

— Lui! Ma chi lui?

— Il nostro mortale nemico, il rivale di Abd-el-Kerim, il greco Notis infine.

— Eh! Sei sicuro di non prendere un granchio? Guardalo bene, amico mio, fissalo ancora.

— Lo guardo, lo fisso, e più che lo guardo più mi assicuro che è lui. Abù, bisogna farlo rinvenire e farlo parlare. Abd-el-Kerim non può essere che in sua mano.

— Ma... e parlerà?

— Vedrai che canterà e molto alto.

Abù-el-Nèmr staccò dal suo turbante una penna d’airone l’abbrustolò al fuoco poi la mise sotto il naso allo svenuto. Un trasalimento nervoso scosse il corpo del greco; distese le braccia, aprì le mani convulsivamente chiuse, emise un sospirone e sbarrò gli occhi arrestandoli sul volto del negro. Un «oh!» di sorpresa e di terrore gli uscì tosto dalle labbra.

Si stropicciò gli occhi più volte, poi gli riaprì tornando a fissare il negro che era sempre curvo su di lui. Divenne pallido come uno spettro e portò le mani alla cintura come se cercasse qualche arma.

— Omar! Omar! esclamò egli a più riprese.

Lo schiavo di Abd-el-Kerim, poichè era proprio lui, proruppe in uno scroscio di risa.

— Si vede, padron Notis, che avete buon occhio, diss’egli. Vi sorprende di trovarmi ancor vivo? Anch’io sono sorpreso di trovarvi qui. Eppure, sul Bar-el-Abiad Fathma vi aveva mandata una palla nelle reni... Perdio! Si vede che avete l’anima incavigliata, padron mio!

Il greco si morse le labbra, e cercò, con un moto repentino, di levarsi in piedi, forse per gettarsi sui