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— Non ne ho visto che uno, ma faremo bene a dare un’occhiata sul tetto. Chissà, potrebbe darsi che lassù, si tenesse celato qualche altro curioso. Fammi la scala che io salga.
— Prendi l’altra pistola e armala. Non si sa mai quello che può accadere.
— Hai ragione, amico mio. Orsù, sta fermo che salgo sulle tue spalle.
In quella sul tetto s’udì una voce che bestemmiava. Lo scièk e il suo compagno si guardarono in faccia tirando nel medesimo tempo le scimitarre.
— Oh! oh! esclamò Abù-el-Nèmr. Lassù c’è qualcuno. Aspetta un po’ canaglia che ti acconcierò io come si deve.
— Afferralo pei piedi e gettalo giù. Bisogna che cada a qualunque costo nelle nostre mani per vedere con che razza di gente abbiamo da fare, disse il suo compagno, appoggiandosi alla parete della capanna, Per Allàh! Anche questa è bella!
Uno, due....
Abù-el-Nèmr saltò sulle spalle del negro a si aggrappò alla sporgenza del tetto non ostante i torrenti d’acqua che gli cadevano addosso. Prima cosa che vide fu una pistola che lo toglieva di mira a un passo di distanza. Afferrò lestamente la mano che la stringeva e l’attirò violentemente a sè. Un corpo umano scivolò giù dal tetto e cadde pesantemente a terra rimanendo immobile.
Il negro si precipitò sul greco e lo trascinò in fretta nella capanna lasciandolo cadere presso il fuoco.
— L’abbiamo ucciso? chiese lo scièk. Mi dispiacerebbe.
— Perdio! esclamò il negro che si era curvato su quel corpo inanimato. Che vedo?... Sogno forse?... È impossibile!
— Che hai? disse Abù. Conosci, forse, questo mariuolo?
Il negro non rispose. Curvo innanzi, colle pugna strette, gli occhi sbarrati, contemplava il greco. Pareva sorpreso e spaventato.