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— Sì.

— Hai paura?

— Non lo credo.

— Allora andiamo concluse il greco.

In pochi minuti raggiunsero l’orticello e vi entrarono. Medinek appoggiò un orecchio alla parete per udire se giungeva fino a lui qualche parola, ma non udì che un mormorio indistinto.

— Saliamo, mormorò egli.

— Sta saldo, rispose il greco.

S’arrampicò sulle spalle del guerriero, si aggrappò ai travicelli che formavano l’ossatura del tetto e con un salto giunse in cima.

Stendere le mani al compagno e tirarlo su, fu l’affare di un istante.

— Là, così, borbottò il greco soddisfatto. Ora apriremo un pertugio che ci permetterà di vedere senza essere veduti. Ci bagneremo fino alle ossa, ma ciò che udremo compenserà largamente il bagno.

Trasse l’jatagan, lo cacciò senza far rumore tra le canne insuppate d’acqua, e lentamente, con infinite precauzioni, praticò un forellino appena capace di lasciar passare due dita. Ciò fatto si distese sul ventre, accostò l’orecchio al pertugio e guardò attentamente, nell’interno della capanna, senza occuparsi della pioggia che lo innondava.

Due uomini erano seduti presso un braciere che spandeva all’intorno una vivissima luce. In uno di essi, Notis conobbe lo scièk Abù-el-Nèmr, ma l’altro non fu capace di vederlo in volto pel motivo che volgevagli le spalle, ma si accorse che era un negro.

— Non monta, bisbigliò il birbante. Lo saprò più tardi chi esso sia. Zitto ora, e non perdiamo una parola.

La conversazione fra lo scièk e il padrone della capanna era di già cominciata.

— Come ti dissi, diceva Abù-el-Nèmr, mi sono presentato questa sera istessa a Mohammed Ahmed. Egli mi ha accolto con molta gioia e mi ha subito parlato dell’uomo che noi cerchiamo.