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Un singhiozzo sollevò il deturpato petto dell’infelice. Tentennò a destra e a manca, stringendosi fortemente il capo fra le mani, poi, esausto di forze, ricadde a terra.

Notis s’alzò e si mise a passeggiare per l’umido antro colla testa china sul petto e le braccia incrociate. La sua fronte era assai aggrottata e il sorriso ironico che poco prima errava sulle sue labbra era scomparso. Forse quell’uomo di ferro era commosso.

— Notis, ripigliò Abd-el-Kerim, abbi pietà di me, abbi pietà di un infelice che è agli estremi, che sta per morire giacchè ho la morte nelle vene. Dimmi che è avvenuto di colei che noi abbiamo tanto amata, dell’infelice Fathma.

La fronte di Notis s’aggrottò maggiormente. S’arrestò di botto, le sue labbra si agitarono come volessero parlare, ma non disse verbo.

— Notis!... Notis!... gridò con accento straziante Abd-el-Kerim.

— Taci! ruggì il greco. Taci... Abd-el-Kerim!

Un secondo singhiozzo uscì dalle labbra dell’arabo. Una grossa lagrima, una di quelle lagrime amare che erompono da un cuore straziato, a quel modo che il sangue zampilla da una profonda ferita, si sospese alle sue ciglia e rotolò silenziosamente giù per le incavate gote.

Notis gli si avvicinò cogli occhi accesi, ma umidi; non era più lo stesso uomo di prima, nei cui lineamenti leggevasi solo odio o rabbia. Era commosso molto commosso; si vedeva che quell’anima inaccessibile, in quel momento, atrocemente soffriva.

— Tu piangi adunque! esclamò egli con una voce che non aveva nulla di umano. E io, credi tu che non soffra, credi tu che non sanguini il mio cuore credi che non pianga?

Si arrestò di colpo. Parve sorpreso, spaventato di quella confessione che gli era uscita, forse senza volerlo, dalla bocca. La violenta emozione che alterava i suoi lineamenti scomparve come per in-