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— Chi vive?
— Sta cheto, El-Mactud, rispose il beduino. Sono io.
In pochi salti raggiunse lo scièk che aveva di già armato il suo moschettone. Con un cenno della mano lo invitò a deporre l’arma.
— Che nuove? gli chiese.
— Nessuna, rispose lo scièk. Abd-el-Kerim dorme pacificamente.
— Lo sveglierò.
El-Mactud fece un gesto di stupore.
— Oh! esclamò.
— Bisogna che io gli parli.
— C’è qualche cosa in aria?
— Altro che! vogliono portarmi via l’arabo.
— Chi?.... Ahmed forse?
— No, s’affrettò a dire il beduino che non si fidava di quel guerriero ancora devoto al Profeta. È un sceicco che tu devi conoscere.
— E si chiama?
— Abù-el-Nèmr.
Lo sceicco digrignò i denti come una iena.
— Ah! maledetto nubiano! esclamò egli con rabbia. Vorrebbe forse immischiarsi nelle nostre faccende? Che non ci si provi nemmeno. Ho dei conti da saldare e potrei saldarli con un buon colpo di scimitarra.
Sulle labbra del beduino spuntò un sorriso diabolico; non potè frenare un moto di contentezza. Guardò attentamente lo scièk e nei suoi occhi lesse l’espressione di un terribile odio.
— Che ti ha fatto quell’uomo? chiese egli.
— Te lo dirò un’altra volta. Basta che tu sappi che io lo esecro.
— È potente Abù-el-Nemr?
— Molto potente, amico mio. Se egli ci scopre Abd-el-Kerim è perduto.
— Faremo il possibile perchè non ci scopra.
— Ma che cosa vuol fare di Abd-el-Kerim quel cane di Abù?
— L’ignoro, ma temo che lì sotto ci sia un mistero.