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Venti volte si fermò, credendo sempre di avere qualcuno alle calcagna, ed altre venti volte ritornò sui propri passi per assicurarsi che si era ingannato. Alle undici di notte varcava le trincee gettandosi in mezzo alle sabbiose pianure del sud.

Soffiava un vento impetuoso che alzava nembi di impalpabile sabbia e grosse goccie di pioggia cominciavano a cadere. Fra le nubi toneggiava fragorosamente e lampi abbaglianti rompevano di tratto in tratto le fitte tenebre.

— Tutto va a gonfie vele, mormorò il beduino, sorridendo diabolicamente. Con simile notte a nessuno salterà il ticchio di uscire dal campo per venire in cerca di me nemmeno a quell’animale di Abù-el-Nèmr. Mille saette! Ma chi può essere questo scièk che ha tanta influenza su Ahmed? Uhm! Non so, ma ho il presentimento che lì sotto gatta ci covi! Per Maometto! Abd-el-Kerim me lo dirà e se si rifiuta.... avrà da fare con me!

Si tirò il taub sugli occhi e riprese il cammino salendo e discendendo le colline di sabbia, curvandosi di quando in quando per resistere ai soffi del vento che talvolta minacciavano di rovesciarlo, tanto erano formidabili. Per mezz’ora avanzò acciecato dai lampi, inzuppato dall’acqua che veniva giù a catinelle, assordato dagli scrosci delle folgori che cadevano a tre, a quattro alla volta, poi fece alto.

Dinanzi a lui, a un duecento passi, alzavasi un albero gigantesco che da solo formava un bosco. Il tronco aveva più di trenta metri di circonferenza, e a tre o quattro metri dal suolo spartivasi in molti rami, alcuni dei quali, più grossi dei più grossi alberi delle nostre foreste, ricadevano verso terra dopo di aver raggiunto un’altezza di dieci o dodici metri.

Il beduino, al di sotto di quell’ammasso immenso di rami e di foglie che il vento scuoteva furiosamente con mille gemiti e mille scricchiolii, scorse tre uomini, distesi per terra, uno dei quali alzossi gridando: