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— Dov’è Ahmed?

— L’ho visto or ora entrare nella capanna dei missionari.

— Se va a trovare i prigionieri dev’essere di buon umore. Andrò alla capanna.

— Ed io, che cosa devo fare?

— Ritornerai al baobab. Questa sera ti raggiungerò e probabilmente parlerò col prigioniero.

— Ti riconoscerà?

— Non dubitarne.

— Il beduino tornò ad ammantellarsi e discese la collina inoltrandosi fra le tende.

Cinque minuti dopo giungeva in mezzo all’accampamento e precisamente dinanzi ad una capanna semi-cadente, costruita con rami e coperta di foglie. Attorno v’erano numerosi guerrieri e parecchi dervis.

— Dov’è Ahmed-Mohammed? chiese il beduino, facendosi largo.

— Nella capanna, rispose un guerriero d’atletica statura. Là dentro si muore.

— Chi è che muore?

— Una delle prigioniere.

— Brigante di Ahmed, borbottò il beduino.

Si avvicinò alla porta e guardò nell’interno con viva curiosità.

Là, nel mezzo, sulla nuda terra, giaceva una donna orribilmente pallida smunta, ischeletrita, in preda agli ultimi aneliti. Attorno ad essa v’erano undici persone dalla tinta bianca, ischeletrite dalla fame, dalle sofferenze, dall’angoscia, dai terribili calori del sole equatoriale, coi capelli arruffati e le scarne membra appena coperte da cenciose camicie pullulanti di schifosi insetti.

Quei miseri, condannati a soffocare là entro, colla scimitarra sempre sospesa sopra la loro testa, erano i missionari veronesi don Luigi Bonomi, il laico Regnotto, suora Gregolini, suor Caprini, suor Chincarini e suor Venturini, la negra Coassè, allieva dell’istituto veronese don Mazza, il chierico Locatelli di