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— Verrà?...

Aveva di già compiuto più di cento volte il giro della collina ripetendo altrettante volte quella interrogazione che facevalo diventare sempre più cupo, quando un fischio stridulo, vibrato, bizzarro, pervenne al suo orecchio. Alzò vivamente le braccia e girò intorno un rapido sguardo; le rughe della sua fronte si spianarono e le sue labbra si contrassero ad un sorriso.

Un negro, lo sceicco El-Mactud, era sbucato improvvisamente da una macchia e saliva rapidamente la collina. Il beduino s’affrettò a muovergli incontro.

— Ebbene? gli domandò con ansietà che invano cercava di nascondere.

— La va male, rispose lo sceicco asciuttamente.

— Ira di Dio!... È morto?

— Tutt’altro, è vivo. Le ferite si sono rinchiuse.

— E allora?....

— Siedi ed ascoltami attentamente.

Il beduino e lo sceicco si sdraiarono per terra.

— L’ho visitato or ora assieme ad un mio amico che se ne intende di medicina, ripigliò El-Mactud, il povero diavolo è fuori di pericolo, ma abbiamo scorto sul suo corpo lo traccie di un terribile male che lo condurrà alla tomba.

Un trasalimento nervoso scompose per alcuni secondi il viso del beduino.

— Qual male? chiese egli con maggior ansietà.

— Il corpo dell’arabo è tutto coperto di tumori grossi quanto i tuoi pugni e che sembrano lì per lì per iscoppiare. Io ho paura che sotto quei tumori vi sieno dei vermi, dei filari di Medina.

— Dei vermi?....

— Sì, dei vermi che a poco a poco ridurranno in uno stato compassionevole Abd-el-Kerim. Lo faranno diventare uno scheletro.

— Ma chi mai introdusse questi terribili filari nel suo corpo?