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cauzione, un verme bianco, rotondo, grosso tutt’al più come uno spago forzino e non più lungo di sessanta centimetri.
— Cos’è? chiese Ahmed che seguiva attentamente quella strana operazione.
— Un filare di Medina, rispose il carnefice.
Ruppe in due lo schifoso animaletto che contorcevasi disperatamente, facendo uscire un liquido biancastro, spesso, granuloso, attaccaticcio. Egli lo raccolse in un guscio d’uovo di struzzo.
— Vedi, disse volgendosi verso Ahmed, questo liquido è formato da piccolissimi vermicelli, i quali non chiedono altro che di essere introdotti nel corpo di un uomo per ingrandire.
— Ebbene?
— Io verso questo liquido sulle ferite del prigioniero. I piccini troveranno alimento nel sangue, ingrandiranno e si costruiranno una specie di nicchia fra la pelle e la carne. Fra qualche mese quel povero diavolo diverrà spaventevole come il negro che tu hai dinanzi.
— E guarirà?
— No, deperirà lentamente, lentamente, a meno che non trovi un uomo tanto abile che gli estragga questi terribili succhiatori di sangue, il che non è probabile. Sarai ampiamente vendicato.
— È orribile.
— Dici spaventevole.
— Non monta, termina.
Il gigante si avvicinò ad Abd-el-Kerim, gli sollevò la pelle lacerata in diversi luoghi, e lasciò cadere goccia a goccia il liquido fatale che doveva ucciderlo,
— Ora, diss’egli, puoi darlo all’uomo che lo aspetta.
Ahmed con un gesto gli intimò di ritirarsi insieme al negro, poi tornò a battere le mani. La porta d’entrata si aprì e apparve il beduino ammantellato fino agli occhi.
Scorgendo Abd-el-Kerim a terra e in quello stato, la sua faccia si illuminò e un sorriso diabolico, un sorriso di feroce gioia, apparve sulle sue labbra.