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facendo volare per l’aria goccie di sangue che macchiavano le pareti e il soffitto del tugul e staccando lembi di pelle.
Ad un tratto si fermò.
— Padrone, diss’egli esitando, se continuo così lo uccido.
— Lo credi? chiese Ahmed ironicamente.
— Te lo assicuro. È mezzo morto di già.
— Questi arabi sono di ferro, tuttavia basterà così. Ora, introduci nelle ferite la morte.
Yòkara slegò Abd-el-Kerim che non respirava quasi più tutto scorticato, tutto rosso di sangue, colla faccia spaventosamente alterata e gli occhi stravolti, schizzanti dalle orbite. Lo depose a terra, vi gettò sopra un mastello di acqua poi mandò un fischio.
La tenda si alzò ed apparve uno spaventevole negro, un essere mostruoso, ributtante; orribile a vedersi.
Era alto, scarno, col volto smunto, ossuto, gli occhi infossati e accesi e sul suo corpo dinanzi e di dietro vedevansi dei tumori più o meno grossi di un pugno e di una forma strana. La pelle dell’addome e del petto era screpolata, ulcerata e lasciava qua e là vedere la viva carne.
Ahmed fe’ un gesto di ribrezzo.
— Sei pronto a subire l’operazione? chiese tranquillamente il carnefice.
— Quando l’inviato di Dio me lo comanderà, mi farò tagliare in diecimila pezzi, rispose il mostro.
— Distenditi a terra. Mi accontenterò di un solo verme.
L’altro ubbidì. Il carnefice impugnò un coltello dalla lama sottile e ben arrotata, tastò un tumore dei più grossi e si pose a tagliarlo lentamente, a strati, senza che il paziente desse segno di provare il menomo dolore.
Il sangue colava, ma l’operatore continuava a tagliare imperturbabilmente.
Due minuti dopo s’arrestava. Depose il coltello aprì colle dita il tumore e trasse, con grande pre-