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Pareva che Ahmed provasse una feroce compiacenza delle tremende angoscie della vittima.

— Siedi! disse ad un tratto, accennandogli l’angareb.

L’uomo ubbidì macchinalmente senza aprire bocca.

— Abd-el-Kerim, continuò Ahmed, con un tono di voce che tradiva la collera che ruggivagli in petto, frenata solamente da uno sforzo straordinario. Sai perchè ti feci arrestare e tradurre qui come un prigioniero?

— Come vuoi che io lo sappia, disse l’arabo che comprese subito l’immenso pericolo che correva e che la sua vita era appesa ad un semplice filo.

Un sogghigno beffardo, simile a quello di una iena che si dispone a divorare la preda, contorse le labbra del terribile Profeta.

— Sei certo di non saperlo? chiese.

— Ma perchè tale domanda? Spiegati, Ahmed.

— Perchè sei così agitato? La tua coscienza non è tranquilla, Abd-el-Kerim.

— Non è vero! T’inganni!

Ahmed scattò in piedi colla vivacità di una tigre. Gli si avvicinò, gli posò le mani sulle spalle e gli disse con aria tetra:

— Tu tremi!.... perchè tremi? Perchè la tua coscienza non è tranquilla? Perchè il tuo cuore non batte quasi più?... Perchè il tuo sguardo è smarrito?... Non negarlo a me che leggo nel più profondo dei cuori, non negarlo a me che leggo i tuoi pensieri, Tu sai la terribile accusa che gravita sul tuo capo e tremi, tremi.

Abd-el-Kerim, cinereo, tremante, alterato, spaventato, non rispose. Non si sentiva capace di allontanare la terribile accusa che doveva perderlo. Egli si chiedeva solamente chi era il miserabile che lo aveva tradito.

— Ebbene? chiese l’implacabile Ahmed, scrollando lo sventurato.

— Che cosa vuoi che ti dica? balbettò Abd-el-Kerim, smarrito. Non so.... non capisco.... ignoro ciò che tu vuoi dire....