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amavo, di avermi infranto il cuore?... Vuoi adunque anche la mia morte?

Un sordo gemito gli uscì dalle labbra; gettò uno sguardo disperato all’intorno, forse meditando una fuga che era assolutamente impossibile. Non vide che una turba di guerrieri che lo serrava strettamente, guardandolo con occhi torvi e minacciosi. Sulle labbra di alcuni errava un atroce sogghigno, un sogghigno di soddisfazione. Tutti, lo si vedeva, comprendevano che il nuovo sceicco era caduto in disgrazia e si compiacevano di tale avvenimento.

Maledetti! mormorò l’arabo.

Chinò il capo sul petto e si rinchiuse in cupi pensieri. Non lo rialzò che quando si trovò dinanzi al tugul di Ahmed, attorno al quale si era radunata una intera tribù di baggàra. In mezzo ad essa egli scorse un beduino ammantellato che si coprì il volto con un lembo del taub. Abd-el-Kerim, senza sapere proprio il perchè, tremò tutto e fissò involontariamente gli occhi su quell’uomo che affrettossi a confondersi fra i negri.

Fu fatto entrare nel tugul e lasciato solo. Le prime cose che colpirono il suo sguardo furono un palo che era rizzato in mezzo alla stanzuccia, un rotolo di strisce di pelle e un braciere ardente sul quale arrossavano alcuni jatagan d’una forma speciale.

— Oh! esclamò l’infelice che sentì corrersi per le ossa un brivido.

Volle dare indietro ed uscire, ma non ne ebbe il tempo. Ahmed entrò colla fronte abbuiata, gli occhi accesi da una cupa fiamma, le braccia incrociate convulsivamente sul petto.

Abd-el-Kerim fece involontariamente un passo indietro. Si sa che era coraggioso, ma nel vedersi dinanzi quel possente uomo, che con un cenno poteva far rotolare ai suoi piedi mille teste, così cupo, così minaccioso, ebbe paura.

Per alcuni istanti nella capanna regnò un profondo silenzio, rotto solamente dagli scoppiettii del braciere che arrossava gli istrumenti di tortura.