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ira. Andrò ad assicurarmene e guai a lui, se lo trovo ronzare nei dintorni della casupola!...
Saltò via il nubiano che era tornato ad addormentarsi, e uscì con passo silenzioso. Si guardò attorno sospettosamente, ma non vide che i soldati di guardia che vigilavano accanto ai fuochi. Tese gli orecchi, ma non udì che il fragoroso russar dei negri che dormivano sotto le tende e il sibilo del vento che agitava gli stendardi infioccati.
— Tutti dormono, mormorò egli. A noi due, o mio incognito rivale!
Attraversò il campo e s’arrestò alle prime capanne di Hossanieh. Si gettò a terra per non esser visto da alcuno, e si mise a strisciare lentamente, senza fare più rumore di un serpente, tenendosi nascosto dietro le macchie di mimose. Ben presto si trovò nei pressi della casupola di Fathma, un’abitazione col tetto di paglia e le pareti di legno fiancheggiata da una rekùba, sorta di tettoia sostenuta da pali, sotto la quale si riposano ordinariamente i cammelli ed i viaggiatori.
Si alzò e guardò attentamente dinanzi, di dietro, a dritta e a manca, ma non vide anima viva ronzare all’intorno. Alzò gli occhi verso le finestre, ma le vide oscure e socchiuse. Respirò.
— Che mi abbia ingannato? E con quale scopo? mormorò.
Fece il giro della casupola per due o tre volte, e stava per allontanarsi, quando vide un’ombra che moveva verso quella volta. Impallidì e afferrò rapidamente la carabina.
— Il rivale! esclamò egli con voce sorda.
Esitò, poi si cacciò sotto la rekùba e guadagnò, senz’essere stato scoperto, una macchia di leguminose arborescenti nascondendovisi nel mezzo.
— Chi sei? chi sei tu, che vieni a disputarmela? si chiese egli.
L’individuo che veniva innanzi in punta di piedi, e spesso girava la testa attorno come un uomo che teme di essere scoperto, era alto dal portamento svelto,