Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
331 |
— Alto! esclamò lo scièk. Siamo giunti.
Dinanzi a loro stava il tugul di Ahmed Mohammed, sulla cui cima maestosamente ondeggiava la verde bandiera dell’insurrezione.
Sul dinanzi ardeva un gran fuoco che gettava sinistri bagliori sulle scabrose pareti, sui cannoni e sulle mitragliatrici che erano sparse all’intorno.
Venticinque guerrieri di un provato coraggio, vegliavano, immobili come statue, spiccanti vivamente sulla splendida cortina in fiamme.
El-Mactud si avvicinò al capo di quegli uomini che gli aveva prontamente puntato contro il remington, e gli disse:
— Va a dire all’inviato di Allàh che sono giunte le persone che egli attende.
— Chi sei? chiese il guerriero.
— Lo scièk El-Mactud.
— E quello che conduci?
— Un fedele seguace di Ahmed.
Il guerriero entrò nel tugul, e pochi istanti dopo usciva avvisandoli che l’inviato del Signore era pronto a riceverli.
— Coraggio, disse all’orecchio del beduino lo sceicco.
Entrarono nel misero tugurio.
Seduto su di un angareb, se ne stava il Mahdi con una corona di vetro giallo in mano e i piedi nudi vicini ad un focolare formato da due assi e da una bracciata di legna.
Nello scorgere il beduino e lo scièk, si alzò lentamente in piedi.
— Ah, esclamò egli. Sei qui El-Mactud.
— Sì, Ahmed, rispose lo scièk, baciandogli rispettosamente le mani.
— E quello che conduci è...?
— L’uomo di cui ti parlai.
Ahmed squadrò da capo a piedi il beduino che sostenne quell’esame colla testa alta e le braccia incrociate sul bianco taub.
— Lasciaci soli, El-Mactud, disse poi.