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colle tenaglie. Buona notte, amico mio. Vado a dormire nella mia tenda e tu va nella tua che trovasi a pochi passi da quella del pascià.

L’arabo non aggiunse una sillaba di più e lasciò il Notis, dileguandosi fra le tenebre col suo mahari.

— Un rivale! esclamò il greco con mal repressa ira. E chi potrebbe mai essere?

Rimase un istente lì, pensieroso, cupo, tormentando l’impugnatura della scimitarra, poi si cacciò in mezzo alle tende e ai fasci dei moschetti, traendosi dietro il suo animale. Dopo dieci minuti s’arrestava dinanzi alla sua tenda, sulla cui entrata russava un nubiano colossale del più bel nero.

Lo svegliò, gli affidò il mahari e si gettò sulla coperta, dopo aver acceso un sigaretto. Il suo pensiero volò subito dietro all’almea.

— Ho un bel dire che quell’adorabile creatura diverrà mia, mormorò egli, ma ho certi timori dei quali, mi pare che io dovrei tener conto. Non so, ma Abd-el-Kerim mi ha parlato in una certa maniera, con un tono così grave, così strano che mi dà da pensare seriamente. Se non fossi sicuro che egli ama alla pazzia Elenka, quasi, quasi, direi che egli parlava con rabbia, che parlava come fosse mio rivale.

«Come mai egli mi ha parlato di una scimitarra che brilla su Fathma? Ciò vuol dire che vi è qualcuno che veglia sull’almea, è chiaro, chiarissimo. E chi potrebbe mai essere quest’uomo? Che abbia egli spifferato questa minaccia per indurmi a starmene lontano da quella donna?

«Se è vero questo, hai sbagliato Abd-el-Kerim. Gli occhi di Fathma si sono impressi nel mio cuore in modo tale, che nessun altro amore sarebbe capace di velarli. Vi è una fiamma che arde nel mio petto, fiamma appena accesa e che è di già immane!...

Egli si levò a sedere e guardò attorno. Gli parve vedere ovunque degli occhi fiammeggianti che lo fissassero: gli occhi dell’almea. Scattò in piedi come spinto da una molla, staccando la sua carabina.

— Egli mi ha parlato di un rivale, diss’egli con