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— Abbassate le armi! ripetè con un tono di voce da non ammettere replica.

— Io l’abbasserò quando tu avrai promesso salva la vita a me e ai miei compagni, rispose il tenente.

— Non sono l’inviato di Dio, io.

— In tal caso ci difenderemo fino a che avremo la forza di alzare le braccia. Morremo tutti e quattro, lo so, ma assieme a noi morrà anche un buon numero de’ tuoi scherani.

Tell-Afab divenne cinereo per l’ira, ma si contenne. Alzò la mano dritta e indicando l’immensa pianura nella quale ondeggiavano e brontolavano minacciosamente le terribili orde del Mahdi, gli disse con voce tetra:

— Guarda! Basta un mio cenno, uno solo, capisci, perchè tutti quegli uomini si gettino su te e sui tuoi. Se ti arrendi, il Profeta forse ti salverà, se ti rifiuti morrai: scegli!

L’arabo esitava. Era evidente che se non deponeva le armi, i guerrieri del Mahdi non avrebbero tardato a scannarlo assieme ai compagni per quanta resistenza avesse ad opporre. Non vi eran molte probabilità di uscire salvi dalle mani del Mahdi, tuttavia qualche speranza c’era.

— Mi arrendo, diss’egli, scagliando lungi da sè la scimitarra. Compagni, abbasso le armi.

Non aveva ancor terminato l’ultima parola, che dieci Abù-Rof si gettarono su di lui e sui suoi compagni afferrandoli strettamente pei polsi e trascinandoli via.

I tre egiziani furono condotti in una capanna lì vicina, dinanzi alla quale si affollarono urlando parecchie centinaia di guerrieri; il tenente invece fu condotto dinanzi a un gran tugul sul quale ondeggiava la bandiera del Mahdi.

Tell-Afab con un pugno gli fe’ volar dalla testa lo sdruscito e scolorito fez, poi lo introdusse nella capanna, lasciandolo solo.

— Dove sono? si chiese l’arabo che sentivasi agitato da sinistri timori.