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— Oh! non dite così! esclamò.

— Perchè? Quale speranza, ormai mi rimane? A che vivere quando la vita è un continuo tormento, un continuo strazio? Soffro troppo... ho il cuore spezzato.... bisogna che muoia!

— Ma forse non è morta... chissà...

Sulle labbra dell’arabo spuntò un sorriso pieno di amarezza.

— Perchè illudermi?.. Son tre mesi che io interrogo quanti uomini mi passano dinanzi, e non udii mai parlare di lei. È morta!.. è morta... oh! io lo sento! esclamò egli.

— Ma chi lo afferma?

— Il mio cuore, il suo silenzio, tutto!... Povera Fathma!... povera donna!

Egli si prese la testa fra le mani con un gesto di disperazione e un singhiozzo lacerò il suo petto.

— Non parliamone più, mormorò egli con voce cavernosa. Il dolore è troppo atroce. Forse nella tomba troverò la felicità che mi fu negata quassù!..

La sua voce fu coperta da uno spaventevole baccano, da un urlo indescrivibile, da un cozzar fragoroso d’armi e da un rullar furioso di noggàra e di darabùke. Alzò la testa che aveva chinata sul petto. Lo spettacolo che si presentò dinanzi ai suoi occhi lo fece vivamente retrocedere, urtando il sergente.

— Siamo perduti! mormorò egli. Ecco la morte.

I guerrieri del Mahdi, che a poco a poco si erano addensati attorno alla zeribak scagliando tremende occhiate sui prigionieri, si erano improvvisamente gettati sui cinquecento Diuka di Tell-Afab, impegnando una sanguinosissima battaglia.

Gli egiziani, che avevano subito compreso il motivo dell’attacco, erano balzati in piedi gettando urla disperate, stringendosi l’un contro l’altro, facendo sforzi sovrumani per ispezzare i legami e vendere almeno cara la vita.

— Coraggio! gridò il tenente arabo. Tutti attorno a me!