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pazzata e assaltavano colla baionetta; i cannoni tuonavano, ruggivano, vomitando veri torrenti di ferro e le mitragliatrici stridevano sui fianchi dei reggimenti tempestando i cespugli, fracassando i tronchi degli alberi, sollevando per ogni dove il terreno, sventrando i cavalli, i cammelli e gli uomini.

Dalle negre boscaglie, avvolte da giganteschi vortici di fumo che il vento sbatteva e lacerava, uscivano senza posa correndo e urlando, drappelli di nudi guerrieri i quali si precipitavano contro le baionette a corpo perduto, sfondando i battaglioni e diradando con ispaventevole rapidità le file.

Gli uomini cadevano a dozzine, a cinquantine, a centinaia, dinanzi, a destra, a sinistra, senza quasi sapere da qual lato venivano colpiti, chi colle braccia tronche, chi colle gambe fracassate, chi colla testa nettamente portata via, chi forato da cento colpi.

Era una carneficina, un mostruoso massacro. Fathma, Omar e O’Donovan, riparati dietro i loro cavalli sventrati dalla mitraglia, guardavano con angoscia l’assottigliarsi di quelle schiere. Mai avevano assistito ad un macello simile; mai avevano visto tanti morti e tanti feriti; mai avevano udito tuonare assieme tanti fucili e tanti cannoni; mai avevano visto tanta rabbia e tanta ostinazione.

Alle undici, quando maggiore era la mischia, l’uragano che da alcune ore minacciava di scoppiare, venne ad accrescere l’orrore di quella notte di sangue.

Le cateratte del cielo improvvisamente s’aprirono e una pioggia furiosa si rovesciò sui combattenti mescolandosi ai torrenti di sangue che correvano pei boschi. Il vento cominciò a ruggire, la folgore a scrosciare, i lampi guizzarono illuminando d’una luce livida, infernale, l’orribile macello. Anche il cielo era contro i disgraziati del Hicks pascià conduceva contro il profeta del Sudan.