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di piedi o ricadeva qua e là acciecando e soffocando quei disgraziati soldati.

Per due ore l’esercito fiancheggiò il palmeto di Kasegh cercando di tenersi all’ombra, poi entrò in una vastissima pianura sabbiosa, calcinata dal sole, sparsa di arditissime rupi e di magri cespugli.

— Che brutto luogo, disse O’Donovan, che cavalcava a fianco di Fathma.

— Temete qualche cosa? chiese l’almea.

— Non scordatevi Fathma, che oggi è il 1° gennaio.

— Che vuol dire ciò?

— Ho udito dire che il 1° gennaio il Mahdi ci darebbe battaglia.

— Ubbie, amico mio.

— Non correte tanto, Fathma. È un bel pezzo che io sento dire che la luna del 1° gennaio è incaricata di vendicare l’Islam.

— E ci credete?

— Un po’.

— Ma io non vedo i ribelli, O’Donovan.

— Non è ancora sera, Fathma.

La conversazione finì lì.

L’esercito intanto continuava ad avanzarsi, ma non più coll’ordine di prima, i soldati spossati, trafelanti, arsi vivi, andavano a capriccio, a branchi a drappelli, coi fucili ad armacollo, tentennando come ubbriachi. Uno cadeva qui colpito da una insolazione, e rimaneva boccheggiante sulle sabbie ardenti; un altro cadeva là impotente di fare un passo, un terzo si arrestava più lontano, un quarto, si sbandava cercando invano una goccia d’acqua.

I cavalli, i cammelli ed i muli, abbandonati a sè stessi dai cammellieri, accrescevano ad ogni istante la confusione, rimanendo indietro, avanzando od andando a traverso a urtare le ali dell’esercito.

Invano Hicks pascià sagrava, invano gli ufficiali