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— Dove va l’esercito?
— A dare battaglia alle orde del Mahdi sotto El-Obeid, rispose il reporter.
— Vengo con voi.
— Fate bene. Quando avremo espugnata la città pregherò Hicks pascià che ci dia un centinaio di uomini per andar a liberare Abd-el-Kerim. Presto, amici miei, in sella, e che Iddio ci aiuti a vincere!
CAPITOLO XVI. — Il massacro di Kasghill.
Erano le sei del mattino del 1° gennaio, quando l’esercito egiziano comandato da Hicks pascià si mise in marcia dirigendosi verso El-Obeid, la capitale del Kordofan, la città forte, o meglio, il quartier generale del Mahdi Ahmed Mohammed.
Si componeva di oltre diecimila uomini fra egiziani e basci-bozuk, nubiani e sennaresi, bene armati, ma affatto demoralizzati, affranti dalle fatiche, dalle sofferenze, dalle malattie, dai torridi calori; di diecimila uomini infine risoluti bensì a espugnare El-Obeid, poichè la presa di questa città era l’unica risorsa che a loro rimanesse per mettere fine a quella interminabile campagna e per evitare un probabile disastro, ma impotenti di sostenere un vigoroso urto delle orde del Mahdi.
L’esercito procedeva diviso in sei quadrati, ma assai lentamente, fiancheggiato sulle ali dai basci-bozuk i quali galoppavano nel massimo disordine colle scimitarre in pugno.
Ogni soldato aveva la baionetta inastata per essere pronto a respingere i primi assalti degli insorti che non dovevano molto tardare.
Faceva un caldo terribile. Il sole versava proprio a piombo, raggi infuocati che rendevano le sabbie così ardenti che il camminare a piedi scalzi, era affatto impossibile. Per di più, un’immensa nuvola di polvere si alzava sotto quelle migliaia e migliaia