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— Sì, generosa come un’araba, generosa come il leone del deserto.

— Accetto il duello che mi proponi. Quando ci batteremo?

— Subito; la notte è abbastanza chiara per colpirci al cuore.

— Vieni adunque, ma ti pentirai di essere stata troppo generosa con me. Io non ti risparmierò.

Fathma si strinse le spalle. Rimise le pistole nella cintura, prese i remington della rivale onde non le saltasse il ticchio di servirsene e uscì dicendo:

— Seguimi?

— Sei sola? chiese Elenka arrestandosi.

— Ho meco Omar che ti darà il suo jatagan.

— Se io avessi la fortuna di ucciderti mi lascierà libera egli?

— Non ti toccherà, te lo prometto.

— Quand’è così, sono con te.

Le due rivali uscirono. La notte era chiarissima; la luna brillava in un cielo senza nubi rischiarando come in pieno giorno le dirupate colline e la sottostante pianura. Un leggier venticello fresco fresco spirava, facendo stormire lievemente le cime dei cespugli.

Omar andò incontro a Fathma.

— Dà il tuo jatagan a quella donna, disse l’almea.

— Per che farne? chiese il negro con ansietà.

— Ci battiamo.

— Non farlo padrona. Diffida da quella donna che è più vile d’una iena.

— Lascia fare a me. Odimi ora: qualunque cosa accada, tu non prenderai parte al combattimento. Se io cado lascierai andare la mia rivale senza torcerle un sol capello. Io, la fidanzata del tuo padrone lo voglio!

Omar la guardò con occhi supplichevoli.

— Padrona! balbettò egli.

— Lo voglio! ripetè l’almea quasi con ira.

— Sia fatta la tua volontà.

Trasse l’jatagan e lo porse a Elenka che ne provò il filo e la punta.