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— Sta bene, ti aspetterò disse Elenka.

Tepele gettò una nuova bracciata di legne secche sulle due pietre che formavano il focolare, prese la sua lancia e uscì.

Non erano ancora trascorsi due secondi che al di fuori s’udiva una detonazione accompagnata da un grido straziante. Elenka si precipitò verso la porta, ma retrocesse quasi subito fino all’estremità della capanna coi capelli irti sul capo. Il sangue le si gelò nelle vene; impallidì spaventosamente.

Dinanzi a lei, sul limitare della capanna, era improvvisamente apparsa l’almea Fathma con due pistole in pugno. La greca gettò un urlo.

— Fathma!... Fathma!... balbettò poi con un filo di voce.

L’almea col volto animato da una collera senza limiti e un crudele sorriso sulle labbra, le si avvicinò togliendola freddamente di mira colle pistole.

— Elenka! diss’ella con accento grave e cupo. Mi riconosci tu?

La greca, smarrita, senza forze, non rispose. Ella guardava fissamente la rivale, chiedendosi se era in preda ad uno spaventevole sogno. Un pallore cadaverico era diffuso sul suo volto orribilmente alterato.

— Mi riconosci tu, o mia odiata rivale? ripetè Fathma dopo qualche minuto di silenzio. Ah! Tu sei sorpresa di vedermi qui, in questa capanna? Tu mi credevi nelle mani di tuo fratello, laggiù, a Chartum non è vero? Elenka, sai che vengo a fare io qui?

La greca per un istante annichilita dallo spavento, ritrovò ben presto tutto il suo coraggio e la sua straordinaria energia. Ella si rizzò superbamente dinanzi all’almea, coi denti stretti, gli occhi animati dall’ira e additandole la porta:

— Esci, spregevole almea! le disse.

Fathma ruppe in uno scroscio di risa.

— Elenka, sai tu, cosa vengo a fare qui?

— Non m’importa di saperlo.