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— Il leone li ha uccisi.
— Vuoi salire sul mio mahari? È un animale forte e le mie braccia sono capaci di sostenere il leggero tuo corpo. Vi starai come in un angareb.
— E perchè no sul mio? domandò Notis.
— L’eroe è sempre più forte, disse l’almea.
Il greco aggrottò la fronte e strinse le pugna con dispetto.
— Ah! mormorò egli. Eroe!... Lo vedremo, Abd-el-Kerim!
L’arabo salì sul mahari, allungò le braccia all’almea e la trasse in groppa, facendola sedere sulle proprie ginocchia e circondandola delicatamente colle braccia. Notis da canto suo s’accomodò sulla sella del suo animale.
— Va, mio nobile amico, disse Abd-el-Kerim, prendendo la correggia a facendola fischiare nell’aria. Tu sei abbastanza forte per portarci entrambi.
I mahari ripigliarono la disordinata loro corsa in mezzo alla pianura, divorando la via con crescente rapidità.
Fathma, abbandonata fra le braccia dell’arabo che talvolta se l’accostava al petto in modo da sentire i battiti del suo picciol cuore, non diceva parola. Solo di tratto in tratto girava la testa verso colui che la reggeva, figgeva i suoi neri e grandi occhi sul di lui volto, e le sue labbra coralline aprivansi a un sorriso affascinante.
Abd-el-Kerim, nel sentirla appoggiata così mollemente sulle ginocchia, nel sentire la lunga e nera capigliatura sferzargli il volto, e talvolta circondare e arrestarsi intorno al suo collo, nel respirare l’ardente alito di lei, nel guardarla, provava delle emozioni così strane, così voluttuose, così dolci, che parevagli talvolta di sognare. Il sangue gli montava alla testa e gli circolava più rapido nelle vene, il cuore battevagli febbrilmente, i suoi occhi si fissarono involontariamente su lei, e, per quanto facesse, non riusciva a staccarneli.
In mezzo a quelle emozioni che a poco a poco