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L’urto fu terribile. Uomo e leone caddero al suolo, l’uno gettando urla selvaggie e l’altro ruggendo orrendamente.

Notis volò coraggiosamente in aiuto di Abd-el-Kerim, ma prima che potesse giungervi vicino, questi erasi già sollevato coll’jatagan lordo di sangue fino all’impugnatura, calmo, sorridente, e con un piede sul corpo del leone che era morto sul colpo.

— Sei ferito?... Tu mi fai paura!

— Non aver timore, Notis, disse Abd-el-Kerim. Il leone è morto senza che abbia avuto il tempo di toccarmi le carni.

— Tu sei stato pazzo assaltarlo coll’jatagan.

— In questa notte e in questo posto avrei lottato con dieci leoni.

Afferrò il suo mahari per la correggia e si diresse a rapidi passi verso Fathma che si era inginocchiata accanto all’uomo. Notis lo seguì.

Es-selàm-alekom (la salute sia con te) disse l’arabo all’almea.

Fathma alzò il capo, lo guardò per alcuni istanti con quei due occhi che fiammeggiavano, si rizzò in piedi e tendendo la sua piccola mano verso di lui.

— Sei un eroe! gli disse.

— Grazie, Fathma.

L’almea gli si avvicinò ancor più.

— Ah! tu sei quello che vidi a Machmudiech.

— Non t’inganni. Ecco qui il mio compagno.

— Allàh vi compensi del bene che mi avete fatto. Senza di voi sarei a quest’ora morta.

— E della tua morte non me ne sarei giammai consolato, adorabile creatura, disse galantemente Notis.

L’almea crollò il capo e un sorriso sfiorò le sue labbra, ma parve un sorriso amaro, forzato e forse anche ironico.

— Dove ti rechi? le chiese l’arabo.

— Al campo d’Hossanieh.

— Come noi. Mi pare che il tuo mahari e il tuo schiavo sieno morti.