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— Ah! che disgrazia!... esclamò il povero Omar colle lagrime agli occhi. Povero mio padrone!...

— Pensiamo a Fathma ora, poi penseremo a lui. Omar, disse il reporter. Portiamola nella mia tenda.

In pochi minuti entrarono nella tenda elevata a cinquecento passi da quella del generale. O’Donovan adagiò Fathma su di una coperta, le slacciò le vesti e l’esaminò attentamente per qualche istante.

— Ebbene? chiese il negro, con voce rotta.

— Non sarà nulla, Omar. È svenuta, ma fra poco si riavrà. Questa donna è troppo forte per rimanere a lungo così.

Si fece dare la sua fiaschetta e spruzzò il volto della svenuta. Un sospiro non tardò ad uscire dalle labbra di lei, seguito da un singhiozzo straziante, rauco, soffocato.

O’Donovan le versò in bocca alcune gocce di merissak; l’almea sbarrò spaventosamente gli occhi e si rizzò a sedere guardando all’intorno con smarrimento.

— Abd-el-Kerim! Abd-el-Kerim! balbettò ella con disperato accento. Dov’è Abd-el-Kerim? Oh! Dio!

— Coraggio Fathma, disse O’Donovan commosso. Siate forte.

— Padrona non disperarti così, singhiozzò Omar. Cerca di essere forte.

— Amici miei... ho il cuore spezzato... ho l’anima infranta... Abd-el-Kerim, mio adorato Abd-el-Kerim! Tutto è perduto, tutto è crollato... non v’è più speranza... Ah! sorte crudele!

Un singhiozzo le soffocò la voce e scoppiò in lacrime nascondendosi la faccia fra le mani. Un eccesso di delirio spaventevole la prese quasi subito.

Si strappò i capelli, si lacerò le carni colle unghie, si rotolò per terra forsennatamente. O’Donovan e Omar penarono molto a tenerla ferma e a riadagiarla sulla coperta.

— Abd-el-Kerim urlava la sventurata cogli occhi stravolti, schizzanti fuori dalle orbite, Abd-el-Kerim dove sei?... lascia che ti veda, lascia che ti abbracci,