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— Troverete voi Abd-el-Kerim, adunque?
— Lo troverò, vi dò la mia parola.
Erano allora giunti in una gola formata da due colline tagliate a picco, tutta cosparsa di fitti cespugli. O’Donovan arrestò il suo cavallo.
— Stiamo in guardia, diss’egli. In questo luogo si nascondono dei ribelli. Guardate bene i cespugli.
— Siamo lontani molto dal campo? chiese Omar.
— Un miglio e mezzo e forse meno. Udite?
In distanza echeggiarono alcuni squilli di tromba e s’udirono a rullare dei tamburi. Qualche detonazione fu pure notata.
— Avanti, comandò O’Donovan.
I tre cavalieri s’inoltrarono nella gola tenendosi lontani dai cespugli. Avevano percorso un centinaio di metri, quando dalle macchie si videro uscire sei o sette uomini semi-nudi, armati di lancie e di scudi di pelle di elefante. Essi si misero a urlare come bestie feroci, agitando minacciosamente le armi.
O’Donovan scaricò il suo remington sul più vicino che cadde a terra, dimenando disperatamente le braccia. Gli altri si diedero a precipitosa fuga attraverso la gola, urlando con quanto fiato avevano in corpo e saltando a destra e a sinistra per non offrire facile bersaglio alle palle.
— Alla carriera! gridò il reporter, spronando vivamente il cavallo. Se non usciamo in fretta, corriamo rischio di venire rinchiusi qui da un migliaio di quei furfanti. Attenti alle imboscate!
I tre cavalli si slanciarono nella gola che andava restringendosi a mo’ d’imbuto, seminata qua e là da cadaveri di soldati egiziani o d’insorti, imputriditi, spesso mezzo divorati dalle fiere e che mandavano un odore nauseante. In meno di cinque minuti giunsero a duecento passi dall’uscita. Qui i tre cavalieri arrestarono di colpo i loro cavalli.
— By-good! bestemmiò O’Donovan. Hanno chiusa la via!
Infatti gli insorti si erano aggruppati dinanzi all’uscita riparandosi dietro i macigni e le macchie.