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La pianura, rotta qua e là da radi ed intristiti palmizi e da qualche torrente pantanoso, andava allora allargandosi fiancheggiata all’est dalle selve che seguono il Bahr-el-Abiad nel tortuoso suo corso e all’ovest da piccole catene di montagne, dietro le quali giganteggiavano i monti Arab, Mussa, Scemela e Mantara.
A mezza notte avevano già percorso più di mezza via, e stavano per rallentare la corsa per dare un po’ di riposo ai due animali, quando in lontananza scoppiò improvvisamente una detonazione.
Abd-el-Kerim a quello scoppio sussultò.
— Hai udito, Notis? chiese egli, staccando dalla sella il remington.
— Distintamenta, amico mio, rispose il greco senza scomporsi.
— Può essere qualcuno che corre un pericolo.
— E può essere stato anche un cacciatore.
— È impossibile.
— E perchè di grazia? M’hanno detto che in queste contrade amano cacciare il leone e tu sai meglio di me che quest’animale non si caccia che di notte.
— Tuttavia...
— Aggiungi che siamo in un paese sollevato a rivolta e che le spie dei ribelli non di rado vengono a ronzare attorno agli accampamenti egiziani. Lascia Abd-el-Kerim, che colui che tirò la moschettata si appicchi.
L’arabo non rispose, però eccitò il mahari e si sollevò maggiormente guardando innanzi a sè. Fu appunto elevandosi che scorse un’ombra giallastra galoppare furiosamente per la pianura.
— Oh! oh! Sta in guardia, Notis, che abbiamo un leone vicino, diss’egli.
— Quando è così, credo che faremo bene ad armare i remingtons. Spero che il signore del deserto non ardirà d’assalirci. Eh!...
Una seconda detonazione risuonò in lontananza, poi una terza un momento dopo.