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recinto. Omar alla testa dei più coraggiosi li accolse con un fuoco nutrito di carabine; tre o quattro furono fulminati, due ammazzati a colpi di scimitarra e gli altri s’allontanarono in furia, prendendo diverse direzioni.

Non vi era un momento da perdere se volevano salvarsi. Omar si avvicinò a Fathma che caricava tranquillamente la carabina.

— Padrona, le disse. Se non approfittiamo di questo momento di tregua per fuggire, prima di domani saremo tutti morti.

— E dove dirigersi? chiese l’almea.

— O al nord o al sud o verso qualunque altro punto, purchè si fugga.

— Ma la pianura formicola di leoni,

— Ce li lascieremo indietro. I cavalli sono spaventati e andranno più rapidi del simoum.

— Ma corriamo il pericolo di venire raggiunti.

— Non aver paura. I nostri cavalli galopperanno più dei leoni, te l’assicuro. Orsù, non vi è da esitare; tutti sono pronti a fuggire. Approfittiamo.

Fathma gettò uno sguardo all’intorno. I leoni continuavano a saltellare nella pianura, a meno di quattrocento passi dalla zeribak e i giallàba s’affannavano a bardare i cavalli.

— In sella! comandò ella risolutamente.

I giallàba si slanciarono sul dorso dei cavalli che s’impennavano sferrando calci per ogni dove, nitrendo di spavento e con gli occhi in fiamma. Ognuno raccolse le briglie, strinse fortemente le ginocchia e impugnò l’jatagan e le pistole.

— Attenti! gridò Fathma allentando le briglie. Via tutti.

I cavalli spronati a sangue s’affollarono confusamente all’apertura della zeribak e si slanciarono con rapidità fulminea attraverso l’arida pianura. I leoni, vista la preda fuggire, si gettarono sulle loro traccie facendo salti giganteschi.

— Mano alle pistole! comandò l’almea che aggrappata alla criniera dell’impaurito corsiero, cavalcava in testa a tutti.