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— E il Mahdi duecentomila. Sai che ho una paura maledetta che un dì o l’altro Hicks o Aladin pascià vengano sconfitti? Quel diavolo di Mohamed-Ahmed è un uomo di ferro e di gran coraggio che dirige le sue bande come noi dirigiamo i nostri mahari e fors’anche meglio. I suoi guerrieri non hanno paura della morte, perchè il furbo ha dato ad intendere che chi morrà combattendo per la santa causa andrà dritto in paradiso a trovare le urì. Con simile promessa anche i più vigliacchi diventano leoni.

— Sai tu quali idee abbia Hicks pascià.

— Di muovere su El-Obeid, a quanto potei udire. Pare che voglia dare il colpo di grazia al Mahdi privandolo della sua capitale che è anche il suo quartier generale. Bisogna raggiungerlo prima che dia battaglia. Orsù tutti in sella e avanti, prima che arrivino quel cani di Abù-Rof.

I diciasette uomini ubbidirono e si cacciarono nella gola, sbucando in una seconda pianura sabbiosa ondulata, perfettamente deserta, limitata all’est e all’ovest da rocce colossali, dirupate, di una aridità spaventosa. I cavalli vennero spronati e si diressero al galoppo verso l’occidente sollevando ondate di finissima polvere bianca.

Per quattro ore consecutive viaggiarono con celerità sorprendente, poi, essendo i cavalli stanchi, si arrestarono nelle vicinanze di un largo pozzo colmo di acqua sulle cui rive s’alzavano due grandi palmizi. Fathma additò al capo giallàba una gran zeribk che mostrava qua e là dei varchi.

— Possiamo accamparci là dentro, diss’ella. Siamo abbastanza lontani dal luogo dello scontro. Gli insorti non ci raggiungeranno più.

— Veramente il luogo non mi pare adatto, rispose il giallàba. Siamo troppo vicini a questo pozzo.

— E che vuol dir ciò?

— Che tutte le bestie feroci, essendo la pianura arida, verranno dissetarsi qui. Corriamo il rischio di passare il rimanente della notte assai malamente.

— Abbiamo i nostri fucili, rispose Fathma.