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— No, ma adesso che ci penso, quattro o cinque miglia verso il sud deve trovarsi un pozzo, quello di Gelba, mi pare.

— Bisogna andarci, disse Fathma. Tanto noi che i cavalli siamo morenti di sete. Hai paura tu a recarti a quel pozzo?

— È ancora giorno e le bestie feroci sono rifugiate nelle loro tane; non posso incontrare che dei ribelli e questi non faranno male alcuno ad un loro fratello d’armi, rispose il guerriero. Fra due ore sarò di ritorno.

Fe’ alzare il suo cavallo dilombato da tante corse, vi appese ai fianchi una dozzina di otri, salì in sella e dopo di aver cangiata la polvere al suo moschettone partì alla carriera. Dieci minuti dopo scompariva dietro le colline di sabbia.

Era trascorsa appena un’ora quando una rumorosa detonazione d’arma da fuoco fece saltare in piedi Omar e Fathma. In sulle prime credettero che fosse stato il guerriero che avesse tirato su qualche capo di selvaggina, ma alcune grida lontano e un rumore sordo sordo come di parecchi cavalli lanciati alla carriera e che andava rapidamente avvicinandosi, fecero a loro supporre che fosse invece accaduta qualche disgrazia.

— Resta qui e prepara i cavalli, disse Omar pigliando il fucile. Io vado a vedere cosa è successo.

Si diresse verso la collina più vicina che alzavasi una sessantina di metri sul suolo e la scalò. La scena che vide dall’alto della vetta gli agghiacciò il sangue nelle vene.

A soli ottocento passi di distanza trottava furiosamente il cavallo Abù-Rof, trascinandosi dietro il guerriero insanguinato, un piede del quale era rimasto impigliato nella staffa. A mille passi e forse meno, galoppavano venti cavalieri colle lancie in aria e urlando come ossessi.

Il negro non volle saperne di più. Scese a precipizio la collina e corse verso la tenda giungendovi nel momento in cui Fathma terminava di bardare i cavalli.