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d’oro e un ricco turbante sulla testa, s’inginocchiò accanto allo svenuto e lo esaminò attentamente per alcuni istanti.
— Chi ha ferito il mio capo? chiese egli, lanciando un’occhiata torva sui due prigionieri.
— Un leone, risposo Fathma senza perdersi d’animo.
— Tu menti, lingua di vipera, gridarono in coro gl’insorti digrignando i denti.
— Lo giuro su Allàh e sull’Alcorano. Noi l’abbiamo trovato ferito e lo medicammo, rispose l’almea!
— Non è vero disse il guerriero d’alta statura. Dove lo conducevi ora?
— Al vostro campo.
— Non è vero; tu volevi condurlo nel folto del bosco per assassinarlo a tuo comodo. Olà! miei prodi accendete un bel fuoco e abbruciamo questi arabi.
Omar e Fathma nell’udire quell’atroce comando, sentirono raggrinzarsi le carni e gelare il sangue nelle vene dallo spavento. Compresero di essere irremissibilmente perduti se lo scièk non tornava più che presto in sè.
— Prodi guerrieri! gridò l’almea con uno slancio disperato. Frenatevi, aspettate che Abù-el-Nèmr rinvenga, aspettate che egli parli, che egli solo ci giudichi. Noi siamo suoi amici, ve lo giuro, ed egli punirà orribilmente colui che avrà alzato la mano su di noi.
La sua voce invece di calmare gl’insorti parve che li eccitasse maggiormente. S’udì un solo grido tremendo, formidabile:
— Al fuoco gli arabi! A morte gli assassini dello scièk.
Ad un cenno del guerriero d’alta statura, che pareva fosse il sotto-capo, gl’insorti sollevarono con infinite precauzioni lo scièk che era sempre svenuto.
— Portatelo al tugul che trovasi in capo a questo sentiero, diss’egli, e voialtri accendete un bel fuoco e quando Abù-el-Nèmr ritornerà in sè gli mostreremo le ossa carbonizzate dei suoi feritori.