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— Tu lo sai? Ah!...

— Sì Fathma, lo so, giacchè a noi nulla può sfuggire. Il 10 ottobre era giunto a Sange-Hamferid; ora si troverà nei dintorni di Kaseght. Il maledetto marcia rapidamente sulla capitale, ma Ahmed lo romperà e farà uno spaventevole massacro delle sue truppe, te l’assicuro.

— Grazie, Abù-el-Nèmr.

— Non ringraziarmi, Fathma. Forse questa indicazione ti riuscirà fatale.

— Perchè?

Lo scièk non rispose. Egli si curvò verso terra portando una mano all’orecchio e ascoltò attentamente.

— Alto! diss’egli raddrizzandosi.

Aveva appena terminato il comando che da ambo i lati del sentiero scoppiava un clamore spaventevole. Il cavallo, colpito da una lancia nella testa, cadde sulle ginocchia gettando a terra coloro che lo montavano. Una cinquantina di guerreri armati di lance, di sciabole e di mazze saltò fuori dalle macchie empiendo l’aria di urla feroci.

Omar e Fathma furono pronti a levarsi afferrando le pistole e la scimitarra, ma lo scièk, invece non si mosse. La caduta, la perdita del sangue e lo sfinimento l’avevano fatto svenire.

— Fermi tutti! gridò l’almea. Abbiamo con noi lo scièk Abù-el-Nèmr!

Gl’insorti nell’udire il nome del loro capo si erano arrestati colpiti da stupore: ma questo stupore durò un istante. Essi circondarono Fathma e Omar e in meno che lo si dica li atterrarono strappando a loro le armi. Sei o sette si precipitarono sullo scièk; vedendolo a terra pallido come un morto ed immobile lo credettero assassinato.

Lo scièk è stato ucciso! gridò una voce. Ah! cani di arabi!

Tutti i ribelli si erano affollati attorno ad Abù-el-Nèmr urlando furiosamente. Un guerriero d’alta statura colle braccia armate di numerosi braccialetti