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paese circostante che presentava un magnifico colpo d’occhio, tutto affatto speciale delle regioni dell’alto Nilo.

Il fiume scendeva tranquillo tranquillo descrivendo una gran curva, fra due magnifiche rive, coperte di superbi alberi, che si specchiavano quasi con civetteria nelle trasparenti acque, prolungando capricciosamente i loro rami sui quali andavano, venivano e saltellavano con sorprendente agilità numerose schiere di scimmie-leoni dal pelame cenerino azzurro, con una folta criniera affatto simile alla giubba dei leoni e il muso e le natiche d’un bel colore carneo.

Sugli isolotti sabbiosi sonnecchiavano pacificamente colossali ippopotami, grossi più dei rinoceronti, con testa enorme, muso assai rigonfio, nari larghe e sporgenti, gambe brevissime ma grossissime e la pelle cosparsa di rade setole e così grossa da sfidare le palle di fucile.

Alcuni di quei mostri talvolta si tuffavano con un fragore formidabile, portando sulla schiena i loro piccini grandi quasi quanto un bue e ricomparendo poco dopo nitrendo come cavalli.

Per l’aria volteggiavano invece stormi di fenicotteri, di pellicani, di ibis bianche e nere, di tantali, di anastomi, di pivieri e di falchi, che si incrociavano in mille differenti guise con un gridio incessante, precipitandosi di tratto in tratto nel fiume per uscirne quasi subito con un pesciolino nel becco.

Fathma e Omar, dopo di essersi rinforzati con una sorsata di merissak, visto che le rive erano deserte, s’affrettarono a spingere la zattera verso quella di destra e sbarcarono caricandosi delle armi, delle munizioni e di quanti viveri potevano portare.

— Dove andiamo? chiese l’almea, indecisa sulla via da prendere.

— Questo è il bello a sapersi, rispose Omar, imbarazzatissimo. A mio parere bisognerebbe guadagnare il villaggio più vicino per procurarsi dei cavalli o dei cammelli, senza i quali non riusciremo a raggiungere El-Obeid, Se ben mi ricordo a una quindicina di miglia da qui trovasi Sciula.