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— Che c’è, chiese sottovoce Fathma dopo qualche minuto d’angosciosa aspettativa. Ci siamo arenati?

— Zitto, disse Omar. Ora andrò a vedere. Tu non muoverti qualunque cosa accada.

Egli strisciò silenziosamente a prua e immerse un braccio nell’acqua. Egli sentì sotto mano un agglomeramento fitto fitto di piante acquatiche che impediva il passaggio.

— Bene, siamo dinanzi ad una barra, mormorò il negro.

Queste barre altro non sono che vaste distese di piante palustri che si formano sui fiumi africani e segnatamente sul Nilo cagionando lo stagnamento delle acque e quindi miasmi mortali. Non di rado queste barre si estendono per tre quattro e anche cinque chilometri, impedendo il transito persino ai battelli a vapore che solcano il Bahr-el-Abiad e il fiume delle Gazzelle.

Omar, appena si fu assicurato che non vi era mezzo di passare sopra quella barra, ritornò presso Fathma che non si era mossa.

— Padrona, diss’egli, bisogna deviare verso la riva sinistra. Abbiamo una barra che fiancheggia la riva destra.

— Deviare sulla riva sinistra! esclamò Fathma. Ma allora ci avviciniamo agli insorti e verremo scoperti.

— Potrebbe darsi, ma non vi è altra via da prendere. Chissà forse passeremo ancora inosservati; la notte è sempre oscura.

— Tutto congiura contro di noi; maledetta sorte!

— Allàh così vuole. Orsù, deviamo e cerchiamo di non far rumore. È carico il tuo fucile?

— Sì.

— Quando è così, andiamo avanti e che il Profeta ci protegga.

La zattera sotto la spinta dei due remi cominciò a deviare lentamente radendo la barra, sulla quale alzavasi una nebbiolina carica di esalazioni pestifere. I due naviganti, curvi, taciti, in dieci minuti raggiunsero l’estremità di quel colossale agglomeramento