Pagina:La favorita del Mahdi.djvu/204

202

Verso le sei della sera, con buon vento giunse nelle vicinanze della costa meridionale dell’isola Tura-el-Chadra, all’est della quale sorge il villaggio di Duêm. Fathma avrebbe voluto scendere a terra per vedere se potevasi trovare qualche barcaiuolo o qualche contadino e interrogarlo sulla direzione presa da Dhafar, ma Omar, che temeva e non a torto, che nelle vicinanze accampasse qualche banda d’insorti, credette bene di opporsi e di tirare innanzi.

La notte non tardò a scendere con quella rapidità che è propria nelle regioni equatoriali, avvolgendo in un nero manto le boscose rive dalla fiumana. Daùd, che non si sentiva del tutto tranquillo, fece spiegare tutta la tela che era a bordo per non essere raggiunto da qualche canotto di insorti che poteva tenersi celato fra i papiri o le canne e si mise in persona alla ribolla del timone dopo di aver fatto caricare il cannone e portare armi e munizioni in coperta.

Erano le dieci di sera. La luna si alzava scialba scialba dietro le montagne di Arax-Kol, i cui picchi aguzzi apparivano al disopra delle foreste e un venticello fresco fresco corrugava la placida superficie delle acque e piegava con lieve mormorìo le canne e le grandi foglie dei papiri.

Sulle rive del fiume ruggivano, ridevano o urlavano leoni, jene e sciacalli che si dissetavano e in mezzo alla corrente scherzavano giganteschi coccodrilli spruzzando la darnas colle possenti loro code. D’improvviso in distanza echeggiò un gran grido rauco, selvaggio, ma umano. Si avrebbe detto un segnale, un richiamo, un grido d’allarme.

Daùd e i barcaiuoli appena uditolo si erano tutti alzati scrutando attentamente le rive del fiume. Presentivano istintivamente che qualche pericolo li minacciava.

Passarono sei o sette minuti, poi quel grido tornò a ripetersi, più vicino, più forte, più vibrante facendo cessare d’un subito il concerto orribile delle belve