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— Pare di sì, disse Fathma. Odi queste grida? Se non m’inganno sono grida di guerra.
— Forse sono due tribù che si scannano, osservò Omar. La guerra dura eterna in questi luoghi.
— Per Allàh! esclamò Daùd battendosi la fronte. Attaccano la dahabiad degli egiziani. Deve essersi arenata su qualche isolotto a un miglio di qui, ne sono sicurissimo, poichè non potevano più dirigerla.
Amici miei, la fortuna c’è ancora una volta propizia.
— Ma chi vuoi che attacchi dei soldati egiziani?
— Gl’insorti, Omar, i guerrieri di Mohamed Ahmed. Non hai udito un’ora fa, prima che venissero assaliti, una scarica di fucili? Erano i ribelli che pigliavano a moschettate la dahabiad.
— Vuoi che gl’insorti si sieno spinti di già fino al Bahr-el-Abiad?
— E perchè no? Da El-Obeid al Nilo non vi corre una grande distanza. Eppoi, tutto il paese è insorto e le popolazioni si mettono in campagna da un’ora all’altra.
— Non vi sono inglesi adunque da queste parti? chiese Fathma.
— Sì, ho udito dire che il colonnello Coetlegan, con un corpo ragguardevole di egiziani, si aggira sulle rive del Nilo, passando or qua e or là per tenere lontani i ribelli, ma non può essere dappertutto. Vi dico io che i guerrieri del Mahdi attaccano la dahabiad.
— Allora corriamo pericolo anche noi di essere assaliti.
— Sì, se non ci spicciamo a salire il fiume. Per fortuna la darnas è abbastanza solida per affrontare delle fucilate e siamo ancora in buon numero per rispondere all’attacco.
— Zitto, state a udire, disse Fathma.
Ognuno zittì e tese gli orecchi. Le scariche di fucili cessarono tutto d’un tratto e così pure le grida di guerra degli insorti, ma un momento dopo nuove urla echeggiarono per l’aria, ed erano disperate,