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ad ammazzare il primo che dà l’abbordaggio. Se arrivano sul ponte noi siamo perduti.

— Tutti a poppa! gridò Fathma che caricava e scaricava la sua carabina tenendosi ritta in mezzo al cassero. Attenti all’urto! Al cannone, al cannone!

Fra i due legni s’impegnò una terribile pugna. I sennaresi, che avevano tutto da temere dall’abbordaggio degli egiziani, superiori assai di numero, si precipitarono come un sol uomo a poppa aprendo un foco infernale coi fucili e colle pistole. Il cannone manovrato da Omar ricominciò a tuonare a mitraglia, sconquassando la barricata degli egiziani.

Con tutto ciò la dahabiad procedeva sempre a balzelloni, urtando spesso contro le isole sabbiose. Spinta innanzi con tutta velocità, andò finalmente a cozzare furiosamente colla prua contro la poppa della darnas.

S’udì uno scriscio formidabile che fu subito coperto dalle detonazioni delle armi da fuoco e dalle grida dei combattenti. Gli egiziani incoraggiati dalla voce del loro reis, cercarono di salire sul ponte della darnas, ma si trovarono dinanzi i sennaresi con a capo Omar, Daùd e Fathma. I primi che salirono caddero sotto le loro scuri e i loro jatagan; gli altri dopo di aver tentato di resistere a colpi di baionetta, si ripiegarono in massa a poppa, dove più di un terzo caddero sotto una scarica di mitraglia sparata a bruciapelo.

Il ponte si coprì di cadaveri e di feriti. La dahabiad abbandonata a sè stessa, senza alberi, senza remi, col timone fracassato e la prua tutta sconquassata e sdruscita, si sbandò sul tribordo crepitando e si allontanò rasentando gl’isolotti e solcando i bassi fondi ingombri di piante acquatiche.

Per qualche tratto fu visto arrestarsi or qua e or là vibrando di bordo, poi sparve da una svolta del fiume. S’udirono ancora in lontananza grida, comandi, bestemmie, gemiti, detonazioni, poi il silenzio tornò, rotto appena appena dal gorgoglìo della corrente che si rompeva sulle sabbie dei banchi.