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— Sono partiti da una settimana pei monti d’Arax-Kol. Buona fortuna, Daùd, e guardati dagli Abù Rof.

— Grazie, Abu Scioqah, sarò prudente.

La darnas di Abu scomparve poco dopo nelle tenebre.

Daùd per ogni precauzione, spinse la sua sotto la riva destra.

— Avete capito, amici miei? chiese egli, dopo qualche istante di silenzio.

— Ho udito, rispose Omar, ma noi passeremo anche sotto il naso degli Abù-Rof. Per raggiungere Dhafar pascià bisogna che noi approdiamo a Hellet-ed-Danàqla. È là che noi sapremo qualche cosa di giusto.

— È quello che penso pur io. Orsù, silenzio adesso e teniamo gli occhi bene aperti e gli orecchi ben tesi. Non dimentichiamo che abbiamo Notis a Quetêna. Tu, Fathma, puoi andare a dormire che ne hai bisogno.

— Ho sempre paura che accada qualche disgrazia.

— Non succederà nulla, sorellina, eppoi, se veniamo inseguiti, ti chiameremo. Va a coricarti nel casotto.

L’almea ubbidì e si sdrajò su di un angareb sotto la tettoia; Daùd e Omar si arrampicarono invece sugli alberi cogli occhi volti verso il nord per vedere se le barche di Quetêna li inseguivano.

La darnas, grazie al vento che si manteneva assai fresco, continuò a salire la corrente del Nilo cosparsa d’una moltitudine d’isole, isolotti e bassifondi formanti una rete inestricabile di canali e canaletti, fugando i coccodrilli e gli ippopotami che guazzavano rumorosamente fra le acque.

Le rive del fiume erano sempre deserte. Da una parte e dall’altra non si scorgevano che gigantesche e fitte foreste che venivano a curvarsi nelle acque, qualche pezzo di terreno coltivato a durah in mezzo al quale andavano e venivano allegramente bande d’ippopotami affaccendati a saccheggiarlo, e assai di rado qualche capanna, e quasi sempre crollata o sfondata.