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— La finestra, Fathma, la finestra! gridò Omar.

L’almea lo comprese. Si precipitò verso la finestra e vi giunse nel momento istesso che un beduino si aggrappava al davanzale cercando di issarsi su. Egli allungò una mano, l’afferrò per un lembo del suo habbaras, con una violenta strappata le fece perdere l’equilibrio e s’avventò nella stanza come una tigre cercando di strapparsi dalla cintura l’jatagan, ma era troppo tardi.

Fathma s’era gettata a testa bassa su di lui col pugnale d’Omar in mano. Lo afferrò per la gola e gli sprofondò l’arma fino all’impugnatura nel cuore, gettandolo esanime al suolo.

Era tempo. I beduini, aiutandosi gli uni cogli altri, stavano per giungere alla finestra saltando come scimmie fra i rami dell’enorme tamarindo.

Omar abbandonò per un momento la porta ed accorse in aiuto di Fathma che, strappato l’jatagan al morto, cercava di respingere gli assalitori. Con due colpi di scimitarra gettò abbasso due beduini col cranio spaccato, poi, malgrado le fucilate che gli sparavano contro quelli che trovavansi sulla riva del fiume, chiuse e sprangò le imposte.

— Presto, Fathma, diss’egli. Va a chiudere l’altra finestra.

L’almea ubbidì, poi ritornarono tutti e due presso alla porta, dinanzi alla quale si erano radunali Fit Debbeud e mezza dozzina dei suoi, cercando di schiantarla a colpi di scure. Bastò un colpo di pistola per tornarli a fugare.

— Là, così va bene, padrona, disse Omar, ricaricando le pistole. Se a quei birboni non salta in capo di giuocarci qualche tradimento, non riusciranno a spuntarla. È già una buona mezz’ora che Daùd è fuggito, quindi fra non molto sarà qui.

— E credi tu, Omar, che riesciranno a sbaragliare gli assedianti?

— Lo spero, padrona. Daùd ha quindici barcaiuoli, quindici sennaresi di buona razza che non hanno paura di nulla. Essi prenderanno i beduini