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Il greco rispose con una risata da ebete. Appoggiò la testa sulle mani e continuò a fumare con maggior furia cogli occhi vitrei fissi dinanzi a sè. Egli provava allora una voglia irresistibile di fumare, un senso di benessere strano, nuovo, una calma inesprimibile, un alleviamento di testa unico e una leggerezza tale che credeva di galleggiare in mezzo all’aria.

Il reis lo guardò attentamente e sorrise. La faccia del fumatore era smorta smorta, attorno agli occhi cominciavano a disegnarsi due cerchi azzurrognoli e muoveva le mani convulsivamente.

— L’oppio opera, pensò il barcaiuolo. Fra poco cadrà nel mondo dei sogni.

— Dunque tu dicevi?... ripigliò Notis, dopo qualche minuto di silenzio.

— Che freddarlo con una coltellata mi pareva fatica inutile.

— Chi?...

— Lo schiavo di Abd-el-Kerim.

— Abd-el-Kerim, balbettò il greco come non avesse ben compreso. Dov’è quest’uomo?

— A Gez Hagiba.

— Non mi ricordo più nulla... ho come della nebbia dinanzi agli occhi... mi pare di galleggiare... di sognare....

Ibrahim non aprì bocca. Il greco continuava a fumare rabbiosamente e tuffavasi, per così dire, fra le ondate del fumo oleoso e pesante.

Passarono cinque minuti. Notis cambiò tre o quattro volte posizione e cercò di riappiccare il discorso, ma dalle labbra tremanti non gli uscivano che frasi interrotte e senza senso. Ad un tratto si rovesciò sull’angareb, chiuse a poco a poco gli occhi e lasciò sfuggire il scibouk che cadde a terra spezzandosi. Cercò ancora di rialzarsi, agitò le braccia quasicchè cercasse d’abbracciare qualche cosa che danzavagli dinanzi, poi restò immobile.

Il reis si alzò e mirò per qualche tempo l’addormentato, il quale era così pallidissimo da scambiarlo