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— No, disse Notis con stizza. Quell’almea io l’amo e non mi sento l’animo di farla soffrire.
— E allora?
— Aspetterò ancora tre giorni
— E dopo?
— La farò cedere colla forza.
— Questo chiamasi un bel parlare. Comincieremo col farle assaggiare un po’ di ferro rovente o le straccieremo le carni a colpi di frusta.
Il greco alzò le spalle e volgendosi al vecchio Ibrahim.
— Dove hai la tua barca? gli chiese.
— A Quetêna, proprio all’estremità settentrionale del porto.
— Consegnerai i tuoi uomini a bordo e ti terrai pronto a prendere il largo. In questo frattempo ti informerai se è giunto lo schiavo di Abd-el-Kerim e verrai a riferirmi ogni cosa. Puoi andartene ora.
Gli gettò alcune piastre e risalì la scala colle mani sui calci delle pistole.
Ibrahim vuotò l’ultima tazza di merissak, empì di tabacco il suo scibouk, l’accese e salutato lo sceicco uscì, facendo saltare le piastre nel cavo della mano.
Arenato fra i canneti aveva il suo canotto. Vi entrò, prese i remi e s’allargò, mettendo la prua a Quetêna che era lontana appena quattrocento passi. Si trovava già in mezzo al fiume quando udì chiamare,
— Olà, barcaiuolo, vieni ad approdare che ho bisogno di te.
Si volse e sulla riva destra vide un negro con un taub gettato su di un braccio. Si diresse subitamente a quella volta.
— Vuoi condurmi un miglio più in sù, nella piccola rada? chiese il negro. Ti darò cinque talleri.
— Sei pieno di danaro che paghi come un pascià? chiese Ibrahim ridendo.
— Può darsi: approda.
Il negro saltò nel canotto e si sedette a prua; il barcaiuolo si sedette nel mezzo, volgendogli le spalle e arrangando con gran vigorìa.