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— Sicuro, rispondeva il reis, vuotando l’una dietro l’altra parecchie tazze. L’ho veduta e le ho parlato più di una volta.
— E ti raccontò tutta la faccenda?
— Già, mi narrò gli amori di Abd-el-Kerim con un’almea, che, se non erro, chiamasi Fathma e tutto quello che ne seguì.
— E ti avvisò che lo schiavo dell’arabo aveva disertato?
Il reis fece col capo un cenno affermativo, tracannando la dodicesima tazza di birra.
— L’hai incontrato tu, questo schiavo?
— No, rispose Ibrahim. Eppure domandai di lui in tutti i villaggi che toccai.
— Lo conosci forse?
— Niente affatto. Quando conobbi l’arabo Abd-el-Kerim, questo schiavo non era con lui.
— Credi tu che noi dobbiam preoccuparci di questo negro?
— Se è solo non è da temerlo molto. Eppoi si fa presto a spedirlo nell’altro mondo. Una pistolettata o quattro dita di jatagan e tutto è finito.
— Parli bene come l’Alcorano, disse lo sceicco, sorridendo. D’altronde staremo in guardia e se dormiremo procureremo di chiudere un solo occhio.
La conversazione fu tagliata dalla comparsa di Notis, che scendeva dalla stanza di Fathma. Era cupo e si vedeva nei suoi occhi la tremenda ira che ardevagli in petto.
— Abbiamo perduto? chiese Debbeud, alzandosi.
— Sì, rispose il greco. Quella donna è una fortezza inespugnabile.
— Per mille saette! esclamò il beduino. Non siete stato capace di piegare quella femminuccia! Ma come è possibile?
— È una leonessa, non una femminuccia. Ella mi derise e rispose alle mie proteste d’amore coi più sanguinosi disprezzi.
— Quando una donna è così irremovibile la si tortura colla fame e col bastone.