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— Chi!… Il negro Omar?

— Sì, Omar fuggì durante una notte oscura, nè più ricomparve al campo.

Notis rabbrividì, ma poi si mise a sorridere.

— Quel negro mi fa paura, disse. Ad ogni modo terrò gli occhi aperti onde non possa farmi qualche brutto giuoco. Olà, date da bere un vaso di birra a questo uomo, aggiunse di poi, alzando la voce.

— Un beduino armato sino ai denti e che vegliava appiè della scala accorse.

— Rimani qui, Ibrahim, e mi aspetterai disse Notis. È probabile che abbia bisogno della tua barca per trasportarmi a Chartum. Accomodati laggiù in quella stanza e bevi quanto merissak può contenere il tuo stomaco.

Fe’ un legger saluto accompagnato da una strizzatina di occhi come per raccomandargli silenzio e salì a quattro a quattro i gradini d’una tortuosa scala. Sostò dinanzi a una porta coperta da un fitto tappeto e tese l’orecchio.

— Non si ode nulla, disse con voce visibilmente alterata. Forse dormirà.

Aprì pian piano la porta ed entrò in una vasta stanza, coperta da morbidi tappeti tinti a smaglianti colori, e arredata con divani alla turca e con grandi vasi di fiori ingiorò che spandevano all’intorno un olezzo delicato che aveva del gelsomino e della rosa. Là, proprio in mezzo se ne stava l’almea Fathma, avvolta in un grande feredgè di seta bianca, la faccia cupa, e i lunghi capelli, neri come l’ebano, sciolti in pittoresco disordine sulle semi-nude spalle. Aveva le braccia incrociate sul seno che sollevavasi sotto i frequenti sospiri e teneva lo sguardo malinconicamente fisso sulle ridenti sponde del Bahr-el-Abiad che disegnavansi dinanzi alle persiane delle finestre.

Il greco s’arrestò sul limitare della porta come trasognato, come rapito in estasi, cogli occhi fissi fissi su quella seducente donna che egli amava alla follia. Il suo volto era alterato, irrigato da goccioloni di sudore, e sentiva il cuore saltellare nel petto e il sangue accendersi d’ardenti brame.