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La lotta contro la supposta ape durò per un buon quarto d’ora animata dall’incessante suono del cembalo, poi l’almea s’arrestò angosciata e smarrita, gettando un grido acuto di dolore. L’ape apparentemente le era penetrata fra le vesti e le faceva sentire l’acuto suo pungiglione.
Essa cercò di liberarsene, poi con movenze agili, vertiginose si mise a rigirare su sè stessa, abbandonandosi spossata fra le braccia dello schiavo.
Gli astanti scoppiarono in un grande applauso.
— Ira di Dio! esclamò il greco, battendo fortemente il pugno sul tavolo. Non ho mai visto una donna simile! È superba come un urì!
Abd-el-Kerim rialzò il capo, le sue mani si raggrinzarono rigando colle unghie la pelle dell’angareb e lanciò una torva occhiata sul greco.
— Lui! mormorò.
L’almea si era avvicinata a loro tendendo le mani. Abd-el-Kerim trasse una manata di piastre e gliele porse. Il sorriso che ne ebbe lo sconvolse.
Notis li guardò entrambi con sorpresa e sentì una ondata di sangue montargli alla testa nel sorprendere lo sguardo che si scambiarono e al sospetto che gli balenò in mente.
— Come ti chiami bell’almea? chiese egli sardonicamente.
— Fathma, rispose con nobile alterigia, la danzatrice.
— Tu sei bella! esclamò Oòseir, alzandosi. Tanto bella che io voglio posare le mie labbra sulle tue.
L’almea si trasse indietro. I suoi occhi s’infiammarono per l’ira e lo sdegno.
— Non toccarmi, diss’ella con tono di minaccia. Vi sono pugnali capaci di forare il petto anche a un basci-bozuk.
Volse bruscamente le spalle ed uscì dal caffè seguita dallo schiavo. Oòseir fe’ atto di slanciarsi dietro a lei, ma due mani di ferro lo curvarono sull’angareb.
— Non muoverti, gli disse Abd-el-Kerim gravemente.