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Omar fece un soprassalto sull’angareb, sbarrando tanto d’occhi.
— Non m’inganni tu? chiese egli con veemenza.
— A che prò? rispose il sennarese alzando le spalle.
— L’hai veduta coi tuoi occhi quest’almea?
— Sì, e mi parve assai bella, una specie d’urì del paradiso del Profeta.
— E tu dici che la portavano?
— Sì, la portavano su di un angareb sostenuto da due mahari.
— Era ammalata forse? chiese Omar, che si sentì un brivido correre per le ossa.
— Mi si disse che era pericolosamente ferita.
— Come?.... Ferita mortalmente?.... Da chi?.... Quando?....
— Che ne so io! Non conosco gli uomini che la conducevano, nè so da dove venissero.
— I beduini erano guidati da un greco d’alta statura con barba nera e ispida?
— Sì, il greco era alto e barbuto, anzi lo scorsi mezz’ora fa seduto sulla riva del Bahr-el-Abiad a quattrocento passi da qui.
Omar saltò in piedi colla dritta sull’impugnatura dell’jatagan. Sul suo nero volto brillava una gioia selvaggia, feroce.
— Egli è a quattrocento passi di qui! esclamò egli afferrando per le spalle il sennarese e ficcando i suoi occhi in quelli di lui.
— Ti assicuro che lo vidi e scommetterei che vi è ancora.
— E l’almea dove fu alloggiata?
— In una palazzina della riva sinistra ed è circondata da un palmeto.
— Grazie, giovanotto, grazie, ripetè Omar, gettandogli nella farda un nuovo pugno di parà.
Uscì dalla rekùba come un lampo, si calò il cappuccio fino al mento, e si slanciò sul sentiero avanzandosi a rapidi passi.
— Il greco è un uomo morto, mormorò egli. Lo