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Dàud stette alcuni minuti al suo fianco, guardando invece i banchi di sabbia sui quali sonnecchiavano bande di mostruosi coccodrilli, finì di fumare il suo scibouk e poi si diresse a poppa, prendendo la ribolla del timone.

Era già un’ora che la gran barca navigava lentamente, quando apparvero a un miglio di distanza sulla riva destra, un gruppo di tugul e di casuccie di mattoni cotti al sole, dominato da un minareto che slanciavasi sottile e ardito verso il cielo.

— Ecco Quetêna, disse Dàud avvicinandosi a Omar.

— Governa dritto a quel piccolo seno che vedi laggiù, rispose il negro.

— E perchè non approdiamo dinanzi al villaggio?

— Non voglio che mi vedano sbarcare. Se il greco si trova a Quetêna potrebbe venire informato del mio arrivo e prendere il largo.

— Hai ragione, Omar, Olà! drizzate la prua a quel seno, gridò Dàud.

La barca s’accostò alla riva destra passando fra numerosi bassifondi semi nascosti da piante di loto galleggianti, e andò a gettar l’ancora nel luogo designato, in una insenatura contornata da grandi tamarindi che si curvavano graziosamente sulle acque.

— Odimi bene, Dàud, disse Omar, passandosi fra le pieghe della fascia un paio di pistole e un jatagan. Tu rimarrai qui colla tua barca, nè ti muoverai senza mio ordine. Passeranno due, tre, quattro o forse più giorni senza che io mi faccia vedere, ma non dartene pensiero. Servimi bene e io pagherò da principe te e i tuoi battellieri.

— Sono due anni che noi ci conosciamo e ciò basta. Mi offrissero mille talleri per noleggiare il mio naviglio, rifiuterò sempre. Se tu, poi avrai bisogno d’aiuti, vieni da me e metterò a tua disposizione i miei uomini e la mia scimitarra.

— Grazie, Dàud, disse il negro, commosso. Abd-el-Kerim ti sarà riconoscente.

Fece gettare una tavola fra la barca e la riva e