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A prua, seduti sulle murate, colle gambe penzolanti lungo il bordo, fumavano due uomini accuratamente ammantellati in candidi taub infioccati.
Il primo di essi era un bel negro di mezzana statura, con muscoli sviluppatissimi che indicavano in lui una forza non comune, e una faccia maschia energica, con fronte alta, occhi nerissimi e grandi, naso dritto e profilato come i nubiani, una capigliatura nera e ondata anzichè crespa e la tinta della pelle cupa ma con riflessi rossigni.
Il secondo invece era alto, scarno, di colorito bruno occhi grandi ma stupidi, lineamenti insignificanti colle labbra, le palpebre e le sopracciglie tinte d’azzurro, le unghie delle mani tinte di zafferano e la pelle unta di grasso di cammello mescolato a zibetto che tramandava un profumo fortissimo.
Fumavano da un bel pezzo in silenzio, cogli occhi fissi sulle acque in mezzo alle quali nuotavano furiosamente enormi coccodrilli sollevando colle possenti loro code delle vere ondate, quando il bel negro chiese al compagno:
— Quanto ci manca ad arrivare a Quetèna?
— Una dozzina di miglia, Omar, rispose l’interrogato, nella cui pronuncia si capiva il sennarese. Ci arresteremo in quella cittadella?
— Puoi immaginartelo, Dàud. Visiteremo tutti i villaggi delle rive del Bahr-el-Abiad fino a Chartum.
— Speri di trovarla?
— Sempre, anzi più oggi che ieri. L’una e l’altro, te lo giuro, li scoprirò.
— È adunque molto bella questa donna che ha tanti amanti?
— Tanto bella da mettere il fuoco nelle vene del Profeta se potesse vederla per cinque soli minuti.
— E si chiama?
— Fathma.
— Bel nome! esclamò Dàud. E chi fu a portarla via?
— Dhafar pascià l’aveva fatta arrestare malgrado le proteste del mio padrone Abd-el-Kerim e del capitano Hassarn, ordinando che fosse condotta a